Santo Domingo, Cuomo (Pd) a ItaliaChiamaItalia: ‘ci vuole un ufficio consolare’

Da www.italiachiamaitalia.it

‘A breve società di outsourcing per i documenti a Santo Domingo’. Il senatore Pd di rientro dalla visita ufficiale nella Repubblica Dominicana a colloquio con Italiachiamaitalia.it: ‘Gli italiani dei Caraibi si sentono abbandonati. Ho riportato con abbondanza di particolari la mia visita ai parlamentari eletti all’estero. Sto per presentare proprio in questi giorni una relazione al presidente Grasso’

Roma – Una società di outsourcing dovrebbe a breve fornire tutti i servizi prima garantiti dall’ambasciata, senza che gli italiani residenti a Santo Domingo debbano prendere un volo fino a Panama. Una prima soluzione “tampone” per arginare i danni, secondo quanto spiega a Italiachiamaitalia.it il senatore Pd Vincenzo Cuomo, vicepresidente dell’Associazione parlamentare di amicizia tra Italia e Santo Domingo, tornato da poco da nove giorni di incontri nella Repubblica Dominicana.

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Una visita ufficiale, della quale il senatore mostra l’invito, le carte e i documenti a ItaliaChiamaItalia, raccontando di come la scelta di chiudere l’ambasciata a Santo Domingo sia apparsa anche a lui “una soluzione illogica”. “Sto per presentare proprio in questi giorni una relazione al presidente Grasso, l’ho scritta sulla base di quanto appreso durante il viaggio e agli interventi dei connazionali incontrati, ai quali ho risposto uno ad uno”.

Senatore Cuomo, per quale motivo si è recato in Repubblica Dominicana? Si è trattato di una missione ufficiale o di una visita privata?

Si è trattato di una visita ufficiale, sono stato invitato dal senatore Charlie Mariotti, presidente dell’Associazione parlamentare di amicizia Italia – Repubblica Dominicana, così come erano stati invitati anche gli altri componenti del comitato, ad esempio Malan, il presidente del Senato Pietro Grasso e il presidente della commissione Esteri Casini. Sono stato delegato dal presidente Grasso in quanto vicepresidente del comitato. Sono andato, quindi, per ascoltare i problemi della comunità italiana sorti in seguito alla chiusura dell’ambasciata e al trasferimento dei servizi a Panama.

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Quanti giorni si è fermato e quali città ha visitato?

La visita è durata nove giorni. Siamo partiti da Punta Cana, dove ho incontrato la comunità italiana nel ristorante Mamma Luis e alcune imprese italiane che si occupano di turismo, poi a Baiahibe presso il Viva Dominicus, una struttura ricettiva gestita da italiani dove ho incontrato una comunità molto nutrita e corposa di connazionali, ognuno ha fatto il suo intervento e sono stato lieto di ascoltare e rispondere, poiché ero lì per questo. In seguito ho incontrato le comunità italiane di Juan Dolio e San Pedro in un altro ristorante italiano e a Boca Chica, anche in questo caso presso una struttura gestita da un italiano.

Ha incontrato anche i rappresentanti istituzionali?

Sì, dopo Boca Chica ho avuto un incontro al Senato dominicano con la presidente e diversi senatori, di origine italiana e non solo, che rappresentavano le varie province. Poi è seguito un incontro con il presidente della Repubblica Dominicana. Inoltre, ho visitato diverse aziende italiane e di italo-dominicani, ad esempio Franca Ranieri, Barletta, Bonarelli, Angelo Viro, la sede del gruppo Vicini, la centrale elettrica in costruzione a Punta Catalina, lo stabilimento della Domice. Infine, ho avuto una riunione a Casa de Italia con i nostri connazionali. In totale, ho incontrato circa cinquecento italiani tra imprenditori e residenti locali.

Quale impressione ne ha ricevuto?

Ho dedicato questi nove giorni a un’intensa e doverosa attività di ascolto nei confronti di quegli italiani a cui si stanno negando dei diritti. Ho precisato a tutti che non ero lì per firmare un decreto di apertura e ho chiarito che mi trovavo lì per verificare in prima persona i problemi nati dopo la chiusura dell’ambasciata. Sono entrato in contatto con il neoambasciatore Marcello Apicella proprio perché mi rendo conto che questa scelta (quella di avere chiuso l’ambasciata d’Italia a Santo Domingo il 31 dicembre 2014, ndr) sta pregiudicando notevolmente i rapporti diplomatici tra la Repubblica Dominicana e quella italiana. Ho incontrato anche dei ministri dominicani e abbiamo avuto un confronto sulle problematiche aperte sugli scambi commerciali. Mi hanno spiegato il volume di affari tra le imprese dei due paesi, ho avuto contezza sulla dimensione del fenomeno turistico, con centomila turisti all’anno, e ho apprezzato e verificare quanto fosse integrata e radicata la comunità, così come le imprese italiane che sono lì da generazioni.

Come hanno reagito i connazionali alla visita di un parlamentare italiano?

Si sentono abbandonati. Ho cercato di essere sempre molto chiaro, scusandomi per i disagi che percepivo e vedevo. Ci ho tenuto molto a spiegare e ribadire che non ero lì per illudere nessuno, ho rassicurato che avrei riportato tutte le segnalazioni raccolte alle autorità di governo italiane ed è quello che ho iniziato a fare proprio in questi giorni, partendo da un semplice principio, ossia raccontare quello che i miei occhi hanno visto e le orecchie sentito. La mia visita è nata anche con l’obiettivo di attivare un’esperienza visiva, reputo molto diverso il giudizio che abbiamo su una problematica a seconda che la viviamo vedendola con i nostri occhi, oppure ne leggiamo solamente il resoconto rimanendo lontani chilometri. Nella mia visita non ci sono state valutazioni di opportunità politica e sbaglia chi lo pensa. C’è un disagio che vivono i connazionali e chi va lì per turismo e magari poi resta per lavoro, il disagio e il diritto del cittadino prescindono dalle appartenenze politiche. È un problema dello Stato, che deve garantire i giusti diritti a tutti i cittadini così come ci dice anche la nostra carta costituzionale.

Quali sono i principali problemi che le sono stati segnalati?

Venendo meno un ufficio consolare, naturalmente sono emerse difficoltà con tutte le procedure connesse a visti e passaporti, per il rilascio e per il rinnovo, e con quelle legate allo stato civile e anagrafico come, ad esempio, le trascrizioni di nascite, matrimoni e separazioni. Inoltre, i rapporti della diplomazia commerciale che riguarda le imprese italiane e dominicane soffrono in maniera evidente della distanza che si è creata non solo in termini di chilometri ma anche di rapporti tra il governo italiano e quello dominicano. Queste distanze non aiutano gli scambi e le attività economiche e, di fatto, negano i diritti ai cittadini italiani che vivono in Repubblica Dominicana.

Che impressione ha ricevuto dall’incontro con le comunità?

Gli italiani si sono sentiti abbandonati, stanno registrando una dimenticanza da parte dello Stato e ci sono state delle comprensibili esternazioni di aiuto. Si sono sentiti di fatto allontanati, abbiamo incrociato anche un problema molto serio risolto proprio nei giorni in cui io mi trovavo lì, ossia quello delle adozioni internazionali. L’associazione Sos Bambino di Aldo Burzatta, infatti, si stava occupando di sette famiglie italiane che dovevano completare il ciclo di adozione, che prevede una fase di ambientamento lì con il bambino, e queste procedure si erano bloccate a causa della chiusura dell’ambasciata. Colgo l’occasione per rivolgere un augurio di buon lavoro al nuovo ambasciatore, che si trova a gestire un nuovo ufficio consolare lontano e con risorse non adeguate alla mole di lavoro che richiedono le procedure derivanti dallo spostamento delle pratiche della Repubblica Dominicana a Panama. Mi preme esprimere una valutazione politica e personale, ritengo che dobbiamo lavorare velocemente per ripristinare un canale di diplomazia con Santo Domingo affinché ci sia un ufficio consolare non solo onorifico ma generale, che possa riallacciare le relazioni commerciali e istituzionali in un paese che sta investendo molto sullo sviluppo e dove ci sono molte imprese italiane.

Quali atti ha intenzione di fare ora?

Mi sono interfacciato con il presidente del Senato e sto producendo una relazione da presentargli. Una volta presentata la relazione sia al presidente Grasso che al ministro, svolgerò interventi liberi in aula in modo che ne possano avere conoscenza tutti i colleghi parlamentari. Inoltre ho parlato con l’ambasciatore, gli ho chiesto di ripristinare in modo sistematico e continuo il funzionario itinerante che possa recarsi con costanza a svolgere un lavoro di front office utilizzando la sede consolare che è di proprietà italiana. Anche gli altri membri dell’associazione parlamentare si sono dimostrati disponibili.

Al di là delle disponibilità personali, quali saranno le prossime azioni concrete?

L’ambasciatore mi ha detto che è stata espletata una gara con una società di outsourcing che dovrebbe fornire tutte le pratiche che faceva il consolato. Si prevede che il costo per le pratiche sia di trenta dollari. Gli italiani che ho incontrato mi hanno chiesto più volte aggiornamenti su questo aspetto, per questo motivo mi sono interessato della questione e posso ora dire che sono in corso di espletamento le procedure per il contratto. Sono convinto che questo non basti per affrontare una problematica così grave, è solo un primo approccio per accorciare la distanza tra i nostri due paesi.

Quali dovrebbero essere, allora, le soluzioni definitive, al di là di quelle temporanee per tamponare la situazione?

La soluzione definitiva, a mio avviso, è rappresentata dall’apertura di un ufficio consolare e, proprio nell’ottica della spending review, anziché avere un’ambasciata, basta un ufficio consolare generale che svolga le pratiche e che, con una rete consolare onorifica, copra l’intero territorio per essere anche di supporto alle imprese in tutte le attività connesse alla diplomazia economica, fondamentale per lo sviluppo anche della nostra economia. Naturalmente, ho riportato con abbondanza di particolari la mia visita ai parlamentari eletti all’estero che, a loro volta, mi hanno ragguagliato sulle tante difficoltà che si stanno vivendo anche in altre parti del mondo, soprattutto in Europa, a causa delle chiusure consolari.

La sua visita ha creato dei dissapori con gli eletti all’estero che, in fondo, sarebbero stati i più titolati ad andare in Repubblica Dominicana?

No, non ero là per motivi elettorali quindi, se qualcuno ha pensato a un obiettivo politico, è stato indotto in errore. Tanto è vero che non mi sono mai presentato con il nome del partito ma solo come senatore, ossia nel mio ruolo istituzionale e in quanto vicepresidente dell’associazione parlamentare di amicizia tra i nostri due paesi, e inoltre non ho polemizzato su come è stata chiusa l’ambasciata né sulle responsabilità dei vari esecutivi, poiché la politica dei tagli consolari sta attraversando più governi di diversi colori politici.

Proprio questo, però, è l’aspetto centrale della vicenda. Un governo del Pd ha chiuso l’ambasciata e, solo in un secondo momento, un parlamentare del Pd va in visita per verificare i problemi. Non potevano pensarci prima?

Non parlerei solamente di decisione del governo Pd. La chiusura dell’ambasciata nasce da un provvedimento ministeriale, nel quale ovviamente c’è la condivisione del governo e ovviamente ritengo anche io che sarebbe stato meglio se qualcuno fosse andato lì a verificare i disagi creati da una scelta che francamente, a mio avviso, non ha molta logica.

Qual è allora il reale motivo di una chiusura che a molti appare illogica?

Il motivo è quello ufficiale. Poi, spetta ad altri organismi verificare se ne esistano altri.

Si riferisce al presunto traffico di visti e documenti presso l’ambasciata? La chiusura sarebbe legata a questa vicenda dai contorni ancora poco chiari?

Ripeto, mi attengo al motivo ufficiale, tutte le altre ipotesi afferiscono ad altri organismi e, inoltre, non sono state oggetto di valutazione istituzionale né parlamentare. I rumors dicevano alcune cose, mentre le carte ne dicevano altre. Spero che si possa arrivare a una soluzione anche perché non si tratta della singola richiesta di un parlamentare, ma dell’esigenza di restituire diritti a dei cittadini italiani che non possono essere così penalizzati perché vivono all’estero.

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