LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DEL COMITATO PER LE QUESTIONI DEGLI ITALIANI ALL’ESTERO Sen. Claudio MICHELONI

Gentile Senatore Micheloni,

con  piacere abbiamo appreso della Sua nomina a Presidente del Comitato per le Questioni degli Italiani all’Estero. 

Riteniamo opportuno e doveroso farLa partecipe, in questo Suo nuovo ruolo politico, di alcune nostre riflessioni su argomenti che tangono da vicino il futuro umano e professionale degli iscritti al Sindacato Confsal Unsa Coordinamento Esteri. 

La Confsal Unsa conta, presso la Farnesina,  il maggior numero d’iscritti tra le sigle sindacali attive presso il MAE. 

La maggioranza dei nostri aderenti lavora all’estero presso le nostre Rappresentanze diplomatico-consolari e, in parte, vi risiede pure stabilmente, presentando una biografia simile a quella di tutti gli altri italiani che hanno lasciato il Paese per motivi di lavoro.

 

Sono le quotidiane osservazioni e sollecitazioni di questi iscritti che fanno del nostro Sindacato un osservatorio attento e perennemente aggiornato sulle realtà italiane all’estero. Realtà che riguardano le situazioni di fronte e dietro gli sportelli dei consolati, delle ambasciate e degli istituti di cultura. 

Si tratta di osservazioni non prive di preoccupazioni anche alla luce delle ultime dichiarazioni del neo Ministro degli Affari Esteri sulla rimodulazione della nostra Rete consolare.

È, infatti, inevitabile l’impressione che si parli ancora di chiusura delle Sedi estere, dando prova di disconoscere  le indicazioni rese allora al Parlamento dalla Commissione sulla Spending Review, in particolar modo quando il neo Ministro degli Esteri afferma" quello in corso è, infatti, un riorientamento della rete delle ambasciate, con uno smagrimento delle sedi più tradizionali, che appartengono a "un tempo che fu", e un rafforzamento della nostre ambasciate nei posti che definirei di nuova scoperta o di nuovo mondo". 

Un anno fa la Commissione Spending Review indicava al Parlamento che “Essa (leggasi la rete consolare) va necessariamente rafforzata in quelle aree geografiche dove aumenta la presenza di nostri connazionali e dove aumentano gli interessi italiani (di sicurezza, economico-commerciali, linguistico-culturali) e modulata nelle aree dove tali interessi e la nostra presenza sono in diminuzione, o dove ormai agiscono meccanismi comuni di tutela del cittadino (come nell’area UE), o dove il processo di integrazione nelle realtà locali appare ormai maturo”.

Ed è proprio qui che scattano i nostri timori. La presenza dei nostri connazionali aumenta costantemente e, proprio nell’aria UE,  con la Germania tra i primi Paesi di nuova immigrazione, come anche la Svizzera e il Regno Unito.

Chi parla di “meccanismi comuni di tutela del cittadino (come nell’area UE”), oppure dove “il processo d’ integrazione nelle realtà locali appare ormai maturo”, proponendo la chiusura delle nostre rappresentanze, non conosce la realtà quotidiana di questi “meccanismi comuni” che vige proprio nel bel mezzo dell’Unione Europea.

Che qualcuno provi infatti a chiedere un sussidio sociale con il grado di cittadino dell’Unione approdato per la prima volta in Francia, Regno Unito ( ma anche in Svizzera ).

Che qualcuno provi a chiedere un sussidio per disoccupazione, senza aver mai versato contributi nelle casse tedesche;  che qualcuno provi a inserire i propri figli a scuola, affidandosi unicamente all’assistenza scolastica della società di accoglimento.

Quello che riceverà, è solo una serie sonora di porte in faccia, perché questi meccanismi di tutela comune sono in concreto inesistenti per le nuove ondate migratorie.

Faccia in modo, Senatore Micheloni, contribuisca, acche’ questa leggenda dell’integrazione ultimata e dell’assistenza “europea”, sparisca al più presto possibile dai cervelli dei nostri amministratori nonche’ politici.

E la tanto esultata integrazione? Prendiamo ancora ad esempio la Germania.

Non vi è un solo esperto che non sia d’accordo nell’affermare che l’integrazione sia avvenuta, ma unicamente negli strati più bassi della società di accoglimento.

La nostra collettività italiana, ad esempio, che in Germania –  secondo le iscrizioni AIRE –  si aggira sulle settecentomila unità, è ancora in attesa di integrarsi nei ceti medio-alti, pur avendo raggiunto la terza- quarta generazione.

Quando si parla di “integrazione”, troppo spesso si dimentica il vero obiettivo che è “l’emancipazione” delle nostre collettività, ancor oggi ben lontana dal suo compiersi. 

Per quanto concerne la realtà amministrativa, ebbene questo settore della vita civile è altrettanto distante da soluzioni locali, che vorrebbero superflue le nostre presenze consolari.

Infatti, integrato o non integrato, qualsiasi nostro connazionale, all’interno dell’unione Europea, deve per forza recarsi al proprio consolato per ottenere un documento di riconoscimento, per registrare il proprio matrimonio o per la nascita di un figlio.

Integrato o non integrato, ogni cittadino italiano ha bisogno del proprio consolato per esercitare i propri diritti-doveri politici e civili nei confronti del proprio Paese, sia pur con la semplice richiesta di un codice fiscale, per non parlare del sacrosanto diritto – dovere del voto politico e amministrativo.

Di certo non saremo noi a ostacolare l’auspicato alleggerimento delle nostre strutture all’estero. E non saremo noi a ostacolare l’ammodernamento della nostra Rete consolare, anche grazie all’impiego di nuove ed efficienti tecnologie.

Siamo però stanchi di leggere entusiatici annunci d’innovazioni tecnologiche mirate all’informatizzazione e alla dematerializzazione dei servizi consolari.

Con periodica enfasi siamo passati dal “Totem” del Senatore Mantica, da subito dismesso nei ripostigli del Mae,  al Servizio Consolare Online –SECOLI-.  Annunci che fanno colpo sull’opinione pubblica, ma che restano come al solito privi di seguiti concreti con l’incertezza sui modi di applicazione e, soprattutto, sulle risorse (sia umane che finanziarie) con le quali i consolati possano veramente rimodernarsi.

Temiamo quindi fortemente che “alleggerire” e “riorientare” possano divenire ancora una volta  sinonimi di  “radiazione” con la conseguente arresa di fronte alla sfida che il difficile momento impone alla Nazione.

Particolare cautela andrebbe adottata anche nell’attuazione di accorpamenti delle strutture consolari, che spesso prospettano solo a prima vista possibilità di risparmio.

Un esempio concreto c’è dato ancora dalla Germania.

Un accorpamento del nostro Istituto di cultura di Monaco di Baviera all’Ambasciata d’Italia a Berlino (così come già discusso) comporterebbe, di fatto, l’abbandono della promozione della nostra cultura (che poi è sempre più sinonimo di economia) in uno dei Länder più floridi

della Germania come la Baviera  -con ingenti flussi turistici e commerciali verso il nostro Paese-  per trasferire lo stesso nel Brandeburgo, il Land che ospita la nostra Ambasciata e che è  una delle aree più depresse della Federazione tedesca.

Solo un esempio di come un accorpamento possa rivelarsi dannoso e non certo fonte di risparmio, se sottoposto ad un’analisi più approfondita.

Anche in questo caso non mancano strategie meno invasive per garantire la sopravvivenza di queste utili e importanti istituzioni, come la rinuncia agli onerosi incarichi assegnati ai cosiddetti Direttori di chiara fama ed Esperti, i quali, di fatto, svolgono compiti che potrebbero  essere affidati -e a costi ben più contenuti-  al personale già in servizio, valorizzandone ulteriormente le qualità.

Concludo, toccando un altro argomento che rischia di diventare un tabù, sia nella dialettica sindacale, sia nel quotidiano dialogo con l’Amministrazione.

Siamo dell’avviso, come Sigla sindacale, che la creazione di strutture consolari piu’ leggere ovvero di sportelli non debba comportare l’abolizione di posti funzione all’estero.

Se è pur vero che queste strutture non sono contemplate dagli accordi internazionali, è altrettanto vero che non esiste accordo, o convenzione, sia bilaterale, sia internazionale, che ne vieti l’istituzione e la gestione con personale di ruolo e a contratto.

Lo sportello consolare visto come minuscola entità di soli contrattisti destinati alla mera raccolta di carte è, a nostro avviso, solo un costrutto mentale.

Nulla vieta, a nostro parere, la creazione di entità consolari più leggere e meno costose che garantiscano i servizi alle collettività italiane in loco nonche’ una qualificata e maggiormente ramificata presenza sul territorio.

La centralizzazione dei servizi è stata dannosa per i connazionali sottoposti a onerose trasferte per ottenere basilari servizi statali.

Oltre due mesi di attesa per ottener un appuntamento presso gli Uffici  passaporti dei Consolati generali presenti in taluni paesi europei sono una triste realtà.

Assistiamo, inoltre, allo smantellamento dell’unico esperimento riuscito in Germania di reale Spending Review: la riduzione alla metà del personale stanziato allo Sportello consolare in Saarbrücken, dove,  in questo momento, solo due impiegati fanno fronte alle esigenze di una collettività che supera le trentamila unità, nonostante – cifre alla mano – sia dimostrato che la struttura produca utili non indifferenti.

Ci appare impensabile che la difesa dei servizi alle nostre collettività all’estero, la tutela della loro partecipazione alla vita politica del Paese, con la cura degli interessi politici, commerciali e culturali nazionali sui cinque continenti, possano essere salvaguardati, assottigliando il numero di coloro che sino a oggi ne sono stati i garanti con il loro lavoro quotidiano.

I nuovi flussi migratori comprendono anche connazionali giovani e altamente qualificati.

Ebbene, questi giovani che cercano un futuro oltre i confini dell’Italia non possono rischiare di trovarsi davanti alle porte chiuse delle loro Rappresentanze consolari e diplomatiche.

Abbiamo bisogno invece di personale all’estero ben preparato per fare fronte alle vecchie e alle nuove esigenze dei nostri connazionali.

Anche in questo caso la risposta della Farnesina è manchevole.

La formazione del personale, istituto già fortemente penalizzato dai tagli, è assente. Attualmente essa esclude la maggioranza del personale e la quasi totalità  dei colleghi di ruolo  e a contratto in servizio all’estero.

La sfida che i giovani affrontano, lasciando l’Italia, dovrebbe essere anche la nostra sfida, con la preparazione e messa a disposizione di personale molto qualificato e pronto ad accoglierne le nuove e articolate esigenze.

Le auguro Buon Lavoro, Senatore Micheloni, nella Sua veste di Presidente del Comitato per gli Italiani all’estero.

Sappia che saremo sempre a Sua disposizione per ogni scambio d’idee e di vedute nell'ottica della tutela della dignità della nostra collettivita’ emigrata nonche’ di quella dei lavoratori in servizio presso le strutture estere della Farnesina.

Roma, 10 giugno 2013

CONFSAL UNSA ESTERI
Iris Lauriola

Lascia un commento

Torna in alto