Roma, 1 agosto 2013
La discussione sulla fase di “riorientamento” della rete diplomatico-consolare
italiana nel mondo sta avvenendo tardivamente e nelle sedi meno idonee. Avremmo
dovuto discuterne nelle Commissioni Esteri di Camera e Senato invece che sulle
agenzie di stampa.
In attesa di recuperare questo grave sgarbo istituzionale, credo sia utile
sottolineare alcune questioni. La chiusura di sedi consolari è stata decisa
dalla Farnesina. La spending review, il decreto legge 6 luglio 2012, n. 95
“Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei
servizi ai cittadini”, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n.
135, in effetti nel titolo stesso è basata sul presupposto che il livello e la
qualità dei servizi non dovessero cambiare per i cittadini.
Invarianza dei servizi ai cittadini non è un termine generico che richiami un
astratto equilibrio del sistema bensì un riferimento ad aspetti oggettivi e
concreti. In che modo, chiudendo un Consolato si può avere un’“invarianza dei
servizi ai cittadini”? Evidentemente si può decidere che ci sia o non ci sia un
servizio. La conclusione è che nella spending review non c’era la decisione di
chiudere i consolati, come si cerca di far credere. Anzi, proprio la mancata
attuazione della spending review ha mantenuto sostanzialmente invariati i costi
amministrativi e il Ministero degli Esteri, di conseguenza, ha deciso di
sacrificare i servizi.
Con una spending review ampiamente disattesa, quindi, la Farnesina non riesce
a garantire la propria rete diplomatico-consolare nel mondo. Ma ciò significa
non garantire servizi alle imprese. Significa non garantire servizi a tutti i
cittadini italiani, non solo a chi dimora all’estero da molti anni.
Adelaide, Brisbane, Newark, Tolosa, altre città europee nel mirino della
chiusura, non sono unicamente luoghi dell’emigrazione italiana nel mondo, sono
anche meta di aziende e imprese, di rapporti commerciali importanti, sono ponte
verso l’Asia-Pacifico, sono parte di quella promozione dell’Italia nel mondo di
cui la Farnesina vorrebbe essere protagonista. La vera domanda è chiedersi in
che modo sia possibile garantire servizi ai connazionali nel mondo continuando a
sviluppare anche una nuova e originale presenza italiana all’estero, fatta di
ricercatori, nuovi migranti, giovani italiani in cerca di realizzazione
professionale e umana? Davvero la Farnesina pensa che si possa essere presenti
camminando sul vuoto? E se non si pensa di riempire il vuoto che si crea, di
grazia si può sapere che cosa bolle in pentola, con quali servizi alternativi?
Oppure per rinnovare un passaporto si costringerà la gente a viaggiare per 725
chilometri, da Adelaide a Melbourne? Per quanto riguarda modalità alternative di
offerta dei servizi basta consultare SECOLI per rendersi conto che la fase
sperimentale non è ancora superata.
Naturalmente, questo non toglie che le nuove aperture di sedi consolari siano
positive. Aprire nuove sedi consolari è certamente un dovere, ma lo è anche
mantenere i servizi nelle aree di tradizionale presenza. Credo sia
indispensabile fare in modo di non disperdere le esperienze maturate dal
personale assunto localmente garantendo in ogni caso l’eventuale assegnazione ad
altre sedi. Infine, per quanto attiene al potenziamento delle sedi riceventi è
legittimo chiedersi come verranno potenziate. Basti pensare, ad esempio, alle
sedi di Melbourne e Sydney che, già oggi, non hanno sufficiente personale di
ruolo per rispondere alle esigenze locali tenendo conto peraltro che le sedi
australiane non sembrano essere tra le più ambite dal personale di ruolo.
On. Marco FEDI
Camera dei Deputati
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